Insoluti e pagamenti

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Trattiamo di un tema che troppo spesso è affrontato con riferimento alle sole PA, mentre è vissuto quasi come naturale ed endemico nel commercio tra imprese nel settore privato: il ritardo sistematico nei pagamenti e/o, di conseguenza, il tema degli insoluti con tutte le conseguenze che il fenomeno si porta appresso. E le conseguenze, come gli imprenditori ben sanno, sono diverse ed intaccano l’ambito contabile, quello fiscale, quello più prettamente commerciale nonché, naturalmente, quello bancario-creditizio.

Il problema è ancora di più accentuato in determinati settori commerciali, come ovvio che sia; per quanto ci riguarda, il settore dell’edilizia, largamente inteso, è forse quello maggiormente colpito dal cancro dei mancati pagamenti. A parere di chi scrive il fenomeno non è meno esecrabile del volgare furto, ma è purtroppo accettato, tollerato e digerito da un sistema, quello italiano, che non è in grado di fronteggiare il problema, che non fornisce gli strumenti per combatterlo e che anzi, paradossalmente favorisce comportamenti di operatori disonesti che sfruttando le maglie del sistema, aprono e chiudono realtà commerciali e imprenditoriali con una semplicità spiazzante ed intollerabile.

Facile ribattere che è sufficiente una maggiore attenzione nella fase preventiva, vagliare con più attenzione la clientela, effettuare indagini sulla solvibilità e sulla serietà economico-finanziaria dei clienti, farsi rilasciare garanzie di pagamento, ottenere il pagamento di acconti ecc ecc. Tutto facile, tutto giusto e tutto scontato, ma la realtà dei fatti ci testimonia che in un mercato, quello dell’edilizia ma non solo chiaramente, che ha lasciato per strada centinaia di migliaia di operatori, virtuosi e non, chi ha avuto la forza o la fortuna di sopravvivere in questi anni è spesso costretto a turarsi il naso e prendere lavoro che in altri momenti avrebbe rifiutato, affidandosi poi alla sorte ed alla “benevolenza del cliente”, in attesa di ottenere il giusto compenso di quanto gli è dovuto. Ed è altrettanto facile e sacrosanto affermare che se tutti gli operatori di un determinato settore si comportassero in un  certo modo, pretendendo garanzie, acconti, non concedendo dilazioni assurde, il problema non esisterebbe: ma qualcuno più disperato, più ingenuo, più furbo (a seconda dei casi) o più disonesto ci sarà sempre e sarà sempre pronto a offrire, per disperazione, per ingenuità, per furbizia o per disonestà, condizioni più favorevoli delle nostre e riaprendo quel circolo vizioso che ci tiene cementati in un mercato dove le marginalità sono ormai ridotte a zero e troppo spesso si lavora non per guadagnare – che sembra una chimera – ma solamente per coprire i costi di esercizio.

E allora chiediamoci – retoricamente – se è giusto lavorare così, se ha senso fare impresa in un sistema che non ti tutela, dove ottenere il riconoscimento anche giudiziario dei propri diritti comporta tempi e costi scoraggianti per il creditore ed addirittura incoraggianti per il debitore moroso, dove chiedere un acconto ovvero il rispetto dei termini di pagamento che non siano a 180 giorni (quando va bene) non risulti “offensivo”, dove l’emittente fattura sia costretto a versare l’IVA anche se non ha incassato un quattrino del sottostante la fattura stessa, dove chi si è specializzato nel rifilare bidoni riesce tranquillamente e sistematicamente a fallire o a chiudere concordati preventivi in sequenza, salvo poi riaprire nel brevissimo periodo con nuove società e iniziare nuovamente il giro dei bidoni.

Potrebbe suonare come facile esterofilia, ma chi lavora con l’estero, quello virtuoso a cui spesso aneliamo come esempio di condotte economiche e sociali, ben conosce che “là”, se sgarri, la paghi e non solo in termini giudiziari: chi è riconosciuto come cattivo pagatore, non lavora e non ha modo di riciclarsi perché è il mercato, prima ancora dei giudici, ad impedirglielo.

Ma si dirà: “bella scoperta, non è certo un problema di oggi, da noi è sempre stato così e sarà sempre così – sei sul mercato da decenni e non te ne sei mai lamentato prima di oggi”. Temo sia vero e la cosa che maggiormente spaventa è che il problema, prima ancora che giuridico, sociale o commerciale, è culturale, educazionale e tradizionale, fa parte di noi e non può essere vinto né da chi lavora sul campo, ne da chi pone le regole del gioco. Prendiamo l’esempio della corruzione: non esiste mica solo in Italia, ma ci piazziamo regolarmente in fondo a tutte le classifiche di (de)merito e non sarà certo l’ulteriore e recente inasprimento delle pene ad arginare il fenomeno.

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